In una calda giornata estiva mi reco in quel di Caldonazzo (TN) Italy. Siamo in Valsugana a poca distanza dal lago di Caldonazzo, il più grande lago interamente trentino. Il territorio di questa zona si presta peraltro ottimamente al ciclismo in mountain bike con infiniti sentieri e alla bici da strada con innumerevoli percorsi spesso spettacolari (vedi "strada del menàdor") e con svariati livelli di difficoltà.
Durante il tragitto verso il laboratorio di Pegoretti ripenso alla prima volta che a metà anni 90 vidi un suo telaio...
Ero quindi molto curioso di conoscere quell'artigiano che in Trentino realizzava telai tanto raffinati...
Ed eccomi accontentato!
Entro nel salone, dove regna un classico disordine-ordinato e saluto il guru Dario!
Quando inizia la tua carriera?
Ho iniziato a Verona verso il 1975 da Luigino Milani un telaista poco conosciuto al grande pubblico, ma che lavorava molto per i marchi migliori; lì rimasi fino al 1990 circa, quando Milani chiuse.
Successivamente mi misi in proprio prima a Ilasi (VR), accanto a me c’era il capannone di un altro nome noto del ciclismo italiano: Remo Castagnino (FRO); poi nel 1998 mi trasferì a Caldonazzo (TN) [infine dal 2012 a Marter (TN)].
A questo punto Pegoretti, saputo della mia passione per la mountain bike, inizia a raccontarmi interessanti aneddoti storici dello sbarco in Italia della bici a ruote grasse…
Mi risulta che una delle prime mountain bike venne importata da Princivalle, noto negozio di Verona e cognato di una certa Giovanna Bonazzi… Ne rimase subito impressionato dal potenziale e subito, siamo nel 1985/86 ne realizzò una piccola serie, marchiate “Prince cycles”.
Ricordo bene anche la prima gara di mtb cui partecipai. Nel 1987 si svolse la prima gara di Coppa del Mondo sul suolo italiano ad Arco (TN) nella cosiddetta “Busa”: i concorrenti erano 20-30 circa, c’erano i grossi team americani tra cui spiccava Fisher; vinse la campionessa dell’epoca Sara Ballantyne, ma arrivò 3° o 4°, non ricordo di preciso, una giovane e promettente atleta italiana che rispondeva al nome di Paola Pezzo.
E fu proprio col team di Milani che la Pezzo iniziò la carriera; passò poi a Princi, quindi a Bianchi e infine rimase a lungo con Fisher.
Osservando in questi anni attentamente i tuoi telai, ho sempre avuto l’impressione che il tuo sguardo sia sempre rivolto all’agonismo (tubi oversize, carri posteriori solidissimi…). E’ proprio così?
E’ vero, io ho sempre pensato (e realizzato fin dall’inizio) bici riservate al mondo delle corse. Non mi sono mai interessato ad altri settori p.e. per il turismo. Anche per le mie mtb vale lo stesso discorso.
Paradossalmente però so per certo, che solo una parte delle mie realizzazioni calcano i campi di gara, mentre le altre finiscono per essere usate in altro modo… persino appese in soggiorno.
Nel totale di bici realizzate a quanto ammonta circa la percentuale di mtb?
Praticamente zero.
Oggi realizzò circa un 95% di strada e una percentuale di ciclocross.
Invece per la mtb il grosso ostacolo oggi è la mancanza di tubazioni [in acciaio] dedicate.
Dal tuo punto di vista come sta evolvendo oggi il mercato del ciclismo?
Attualmente vedo un grosso fermento nel mondo della “fissa” [fixed]. Ad oggi ne realizzo circa un 30 telai all’anno, che per le mie dimensioni aziendali sono tantissime ed il trend è in aumento.
E’ un mercato molto particolare con regole non scritte, ma precise e chiare. Il concetto base di questo mondo è avere una bici da corsa ridotta all’essenziale: rigorosamente in acciaio, togliendo tutto (anche i freni). E’ un movimento nato sull’onda dei messengers (i postini americani) e Lucas Brunelle che sfreccia tra le auto di Manhattan ne è un esempio. Celebre a Milano la “fixed gear”.
E con gli standards?
Alcuni dovrebbero essere cambiati. Per esempio la battuta posteriore dei forcellini sarebbe da portare a 140mm. Ormai con l'11 velocità la ruota posteriore non ha più campanatura... Ma non è per nulla facile cambiare gli standards.
Ci sarà un ritorno dell’acciaio?
Non credo, tuttavia sono certo cha l’acciaio non sparirà mai.
Alla lunga il carbonio prevedo sarà relegato alla fascia media, poiché è troppo facilmente riproducibile a costi bassi.
Diversamente l’acciaio con certi spessori ridotti non può essere riprodotto su larga scala e necessita inevitabilmente di manodopera altamente specializzata e preparata.
C’è la crisi?
Io non la avverto, non vedo nessuna differenza rispetto a prima.
Usi solo acciaio per i tuoi telai?
Oltre all’acciaio ho un 20% di telai realizzati in alluminio scandio.
Che tipi di saldature esegui? Tig, congiunzioni, filetto-brasature…
Prevalentemente solo tig e solo una piccola parte di “congiunzioni”.
Un discorso a parte lo merita la verniciatura dei tuoi telai dove la fantasia e l’originalità la fanno da padroni…
Certo però non vorrei che questo prevalesse sul contenuto e sul piano tecnico con cui sono realizzati i miei telai.
Come vedi il futuro della bici?
Molto radioso! Soprattutto per il nostro mestiere. Sarà inevitabile in futuro trovare un mezzo alternativo e più semplice rispetto all’auto e per tutti gli artigiani che avranno tenuto duro, sarà un manna.
Purtroppo invece in Italia si è perso molto: De Rosa e i telaisti della sua generazione hanno insegnato a molti telaisti, poi però non c’è stato un ricambio generazionale, soprattutto tra gli acciaisti. Da centinaia che eravamo, oggi siamo rimasti solo in 7-8.
Un ringraziamento caloroso a Pegoretti per il tempo regalatoci!
Ultima nota per precisione, segnalo che dal 2012 la ditta di Pegoretti Dario, si è trasferita di alcuni chilometri in località Marter (TN).
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Una piccola galleria di opere d'arte.
dario@pegoretticicli.com
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